LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE PER NIENTE"
creata il 14 dicembre 2008 aggiornata il 16 dicembre 2008

 

 

Vieni da “oggettività plurale
Sei in “niente o dell'anoressia”

L’oggetto “niente” è oggi di moda. Non è la moda filosofica del nichilismo, ma è la moda patologica dei disturbi alimentari, anoressia e bulimia. Anoressia e bulimia assumono come loro specifico oggetto del desiderio il “niente”. L’anoressia lo afferma positivamente mangiando niente; la bulimia negativamente, vomitando il pieno. Sono i paradossi che formano la delizia di filosofi e psicoterapeuti.
“Nell’anoressia mentale ciò che il bambino mangia è il niente”. (J. Lacan, Le Séminaire. Livre XI. Les quatre concepts fondamenteaux de la psychanalyse (1964), Seuil, Paris 1973, p. 96) In questo sito non sono stato tenero con certe esternazioni teoriche del maestro Lacan o logocentriche o improbabili. Ma non ho mancato di apprezzare l’intuito clinico dello psichiatra. È vero: l’anoressia mangia il niente. Nello stesso seminario Lacan contestualizza questo teorema nella propria psicologia dell’oggetto perduto. “L’oggetto a non è l’origine della pulsione orale. Non è introdotto a titolo di nutrimento primitivo, ma grazie al fatto che nessun nutrimento sazierà mai la pulsione orale, che circoscrive l’oggetto eternamente mancante”. Non apprezzo la teoria dell’oggetto mancante in quanto la considero filosofica – della serie dei discorsi senza oggetto – e poco freudiana. Per Freud l’oggetto non manca, ma è da ritrovare. Nell’attesa di ritrovare quello “buono”, la pulsione si soddisfa con un oggetto qualunque, non fosse altro che richiudendosi su se stessa, come l’orlo rosa delle labbra che si autobaciano. Nei Tre saggi sulla sessualità Freud afferma che l’oggetto – non perduto ma da ritrovare – è semplicemente “saldato” alla pulsione. Non c’è adeguamento della pulsione all’oggetto del desiderio. Noi sappiamo perché: perché la pulsione, essendo soggettiva, è finita, mentre l’oggetto del desiderio è infinito e il finito non si adegua all’infinito. Il finito non "mangia" l'infinito, lo vomita.

Nello stesso seminario Lacan propone una fine psicodinamica dell’oggetto niente, che sarebbe prossimo alla pulsione invocante, la più vicina all’esperienza dell’inconscio. “L’oggetto di cui il soggetto si è svezzato non è più niente per lui. Nell’anoressia mentale ciò che il bambino mangia è il niente. Per questo tramite l’oggetto dello svezzamento funziona a livello della castrazione in quanto privazione”(p. 96). E più avanti: “Il primo oggetto che il soggetto propone al desiderio parentale, di cui non conosce l’oggetto, è la propria perdita: ‘Vuole perdermi?’ Il fantasma della propria morte, della propria scomparsa, è il primo oggetto che il soggetto ha da mettere in gioco nella dialettica del desiderio [dell’altro]” (ivi, p. 195). In termini più concreti di esperienza clinica: la madre è divorante; la figlia non divora e se, in quanto identificata alla madre, caso mai divorasse, immediatamente vomita. Alla madre e alla figlia spettano le due parti del tutto e del niente. I due attori recitano la loro tragicommedia sulle scene del teatro familiare per dimostrare che tutto e niente coincidono, ossia che tutto è niente e che niente è tutto. Da qui le difficoltà, innanzitutto logiche, della cura dell’anoressia/bulimia.

Cos’è il niente?

Si può parlare del niente (o del nulla) in termini filosofici. Una minirassegna filosofica è indispensabile per superare la concezione intellettualistica del niente e aprirsi alla concreta realtà patologica (insisto su questo termine, apparentemente medico, e si capirà presto perché) dell’anoressia/bulimia.
Schematizzando ai fini della teoria analitica, le concezioni filosofiche del nulla rientrano sostanzialmente in due classi:
a) nulla come negazione assoluta dell’essere (concezione ontologica);
b) nulla come affermazione dell’alterità o negazione relativa (concezione epistemica).
All’intersezione delle due classi si trova quella forma di negazione tipicamente psicanalitica che è la negazione freudiana, la quale non sempre nega. Si tratta di una forma di negazione intuizionista, che fa decadere il principio del terzo escluso, A vel non A. Infatti se, per qualche A, non A equivale ad A, allora il terzo escluso diventa A vel A, cioè semplicemente A, che non è una tesi logica. Nell’inconscio freudiano la negazione non sempre nega, perché a volte serve a portare alla coscienza (analitica) il rimosso.

Elenco rapidamente i sostenitori delle due concezioni e le loro tesi.

a) Parmenide: “Il niente non è perché sarebbe insieme essere e non essere” (Frammento 3).
Cartesio: “Il niente o ciò che è sommamente privo di ogni perfezione” (Meditazione Quarta).
Kant: “Concetto vuoto senza oggetto [che cada sotto il concetto]” (Critica ragion pura. Analitica dei principi).
Hegel “Il niente è il fondamento della negazione, non la negazione del niente” (Scienza della logica I, sez. I, cap. I, C, nota I).
I primi due autori sono orientati teologicamente: o dio è niente, in quanto impensabile (teologia negativa), o dio è l’esatto contrario del nulla, in quanto somma di tutte le perfezioni (teologia positiva). In entrambi i modi, uno duale dell'altro, la teologia non ha prospettive di cura. Kant vira in terreno filosofico e porge la premessa per la filosofia del divenire in quanto il niente è la possibilità dell’impossibilità, su cui si fonda l’essere del divenire (Hegel).

b) Platone: “Risulta che c’è un essere del non essere […], giacché in tutti i generi l’alterità, che rende ciascuno di essi altro da sé, fa un non essere dell’essere di ciascuno” (Sofista, 256d).
Kant: “Il niente come privazione di qualcosa (nil privativum) o ente immaginario o oggetto di un concetto che contraddice se stesso (nil negativum)” Critica ragion pura. Analitica dei principi).

Dopo Freud, l’analista è su posizione kantiane: il niente è un concetto vuoto senza oggetto. In questo senso è un concetto duale del tutto, che contiene tutti gli oggetti. La matematica offre un modello del nulla: l’insieme vuoto, cioè l'insieme che è senza elementi che gli appartengano.

La teoria degli insiemi fornisce tuttora la base ontologica della matematica. Un filosofo come Alain Badiou se ne è accorto e sfrutta l'insiemistica per matematizzare l'ontologia in modo sistematico. Il filosofo sfrutta l'intuizione del matematico - in questo caso Giuseppe Peano - che usa l'iniziale verbo greco estì, "è", per indicare l'appartenenza. Ma la teoria degli insiemi non è solo ontologia. E' anche un luogo epistemico, dove sapere e ignoranza si intrecciano in modo esemplare. Il matematico, infatti, non sa bene cosa sia un insieme. Non sa individuarne l’essenza, ma sa operare con esso. Vediamo più da vicino questa strana coppia di termini: “insieme vuoto”. Si tratta di un ossimoro. Un insieme è concepito praticamente come la collezione degli elementi che gli appartengono. La collezione può essere determinata da un elenco (insieme finito) o da una proprietà caratteristica (principio di comprensione), per cui appartengono all’insieme tutti e soli gli elementi che godono di quella proprietà. L’insieme, insomma, è il portato della relazione di appartenenza.
Anche l’insieme vuoto? Sì, ma con cautela.

L’insieme vuoto è l’insieme privo di elementi – abbiamo detto. In questo senso non si definisce positivamente attraverso l’appartenenza, perché non esistono elementi che gli appartengano. (L'insieme vuoto si definisce negativamente attraverso l'appartenenza, nel senso che tutti gli elementi possibili non gli appartengono). L’insieme vuoto si definisce non contraddittoriamente attraverso la contraddizione. Infatti, la proprietà caratteristica dell'insieme vuoto è di essere l’insieme di tutti gli elementi diversi da se stessi. Per il principio di identità, non esistono elementi diversi da se stessi, quindi esiste l’insieme vuoto, in un certo senso il primo insieme concepibile in quanto tale. Come si vede, anche in matematica non diversamente dalla filosofia l’ontologia si fonda sul niente.


Qui si aprono due strade: l’intensionale e l’estensionale. L'intensionale porta alla molteplicità degli oggetti niente. È la strada della poesia e del romanzo. L'estensionale propone una relazione di equivalenza per semplificare la congerie di tutti gli insiemi. Due insiemi sono equivalenti in senso estensionale se hanno gli stessi elementi, cioè se tutti gli elementi del primo sono anche elementi del secondo e viceversa. Da Cartesio in poi la matematica opta per l’estensione e il conseguente riduzionismo. Il primo effetto riduzionista è l’unicità dell’insieme vuoto. Infatti, se esistessero due insiemi vuoti, tutti gli elementi del primo sarebbero elementi del secondo e viceversa e i due insiemi coinciderebbero. In altri termini, nei due insiemi vuoti non esistono elementi che potrebbero distinguere l'uno dall’altro, semplicemente perché non ci sono elementi né nell'uno né nell'altro. Quindi i due insiemi vuoti risultano indistinguibili e quindi coincidono (per il principio leibniziano dell’identità degli indiscernibili).

L’anoressia e la bulimia sarebbero d’accordo con la matematica dell’estensione o preferirebbero la via romanzesca della molteplicità dei vuoti?
Per rispondere a questa domanda facciamo capolino nella teoria delle categorie.

Innanzitutto, bisogna riconoscere che, prima che teoria, la matematica è una pratica. Fu una pratica di calcolo presso gli Assiri-Babilonesi. Fu una pratica della dimostrazione presso gli antichi Greci. È una pratica dell’astrazione presso i moderni. Ogni pratica ha il proprio punto cieco, un vero e proprio scotoma epistemico. Gli Assiri conoscevano il teorema di Pitagora per via numerica sotto forma di terne pitagoriche (per esempio (3,4,5), dove 3 al quadrato + 4 al quadrato è uguale a 5 al quadrato), ma non sapevano dimostrarlo. I Greci, che sapevano dimostrare il teorema di Pitagora in modo rigoroso, conoscevano l’esistenza dei numeri irrazionali, ma non sapevano scriverli. I moderni sanno astrarre, ma sono in imbarazzo con la pratica intensionale del concetto. Quando introducono l’intensione, per esempio nella teoria degli insiemi attraverso il principio di comprensione (un concetto, un insieme), vanno incontro alle note antinomie di Russel, di Cantor e di tanti altri. Sarà per questo che la cura scientifica (in estensione) non fa presa sull’anoressia/bulimia, che batte la strada dell’intensione? Ritorna con l’anoressia la dicotomia galileiana tra proprietà primarie oggettive (estensionali o quantitative) e proprietà secondarie soggettive (intensionali o qualitative), che a sua volta sta alla base della falsa contrapposizione tra le due culture scientifica e umanistica? Non rispondo subito.

Un insieme è un’astrazione estensionale. Astrae due volte. Astrae una prima volta dall’essenza degli elementi, che lo compongono, e astrae una seconda volta dal loro ordinamento. In particolare, non considera la ripetizione degli elementi. {a, a, b, c} non è un insieme. {a, b, c} è un insieme. Un insieme è l’estensione del concetto, secondo Frege. In pratica un insieme rappresenta un numero (finito o transfinito). Lungo questa via Russell arriva a definire il numero naturale "cinque" come la classe di tutte le classi equivalenti a una cinquina. Siamo al limite dell’astrazione logica. Si può spingere l’astrazione oltre? Esiste un terzo livello di astrazione? Sembra impossibile, ma esiste. Si possono considerare gli insiemi a loro volta come oggetti, astraendo (oltre che dall'essenza e dall'ordinamento) anche dal numero degli elementi che li compongono, e considerando solo le applicazioni reciproche tra un oggetto e l’altro. In un certo senso, si guardano gli insiemi dall’esterno, indipendentemente dalla relazione di appartenenza degli elementi all’insieme e si studiano i modi in cui si applicano un insieme sull’altro. Nasce così la teoria delle categorie, come teoria delle teorie matematiche, di cui una parte consistente è costituita dall’insiemistica e dalla topologia senza punti. In pratica, si costruisce un’algebra dell’algebra, della logica, dell’insiemistica e della topologia. Astrazione vuol dire generalizzazione e unificazione di campi diversi. Ai moderni piace fare matematica così.


Non entrerò nei dettagli della teoria delle categorie. Segnalo solo due definizioni che riguardano l’insieme vuoto e l’insieme totale e ne estendono la portata.


Un oggetto 0 si dice iniziale se, per ogni oggetto a della categoria, esiste ed è unica l’applicazione dall’oggetto iniziale 0 ad a. L’oggetto iniziale riproduce una caratteristica dell’insieme vuoto: l’esistenza di un’applicazione, l’applicazione vuota, dall’insieme vuoto a qualunque insieme. Banalmente, l’insieme vuoto si può inserire in qualunque insieme. Come per l’insieme vuoto, si dimostra che due oggetti iniziali sono isomorfi. L’insieme vuoto è l’unico oggetto iniziale della categoria degli insiemi. Nella categoria dei preordini un oggetto iniziale è un oggetto minimale. In un insieme parzialmente ordinato esiste al più un oggetto iniziale, il minimo. Nella categoria dei gruppi e dei monoidi (particolari strutture algebriche con un’operazione interna) ogni oggetto costituito da un solo elemento è iniziale.
L’oggetto terminale è una nozione duale della precedente. Un oggetto 1 si dice terminale se, per ogni oggetto a della categoria, esiste ed è unica l’applicazione dall’oggetto a all’oggetto terminale 1. Nella categoria degli insiemi gli oggetti terminali sono i singoletti, che sono tutti tra loro isomorfi. Nella categoria dei preordini un oggetto terminale è un oggetto massimale. In un insieme parzialmente ordinato esiste al più un oggetto terminale, il massimo. Nella categoria dei gruppi e dei monoidi ogni oggetto costituito da un solo elemento è terminale.


Ecco finalmente il punto. Negli insiemi e negli spazi topologici gli oggetti terminali non coincidono mai con gli oggetti iniziali. In topologia l’insieme vuoto non coincide mai con l’intero spazio. La topologia indiscreta è proprio quella formata da due soli aperti: il vuoto e il pieno. Non si può costruire una topologia o solo con il vuoto o solo con il pieno. Nei gruppi e nei monoidi, invece, esistono degli zeri che sono anche uni. E aggiungo: anche nelle anoressie/bulimie esistono degli oggetti terminali che coincidono con oggetti iniziali. Esistono dei pieni che coincidono con dei vuoti. L’anoressia non distingue sempre correttamente il pieno dal vuoto. La difficoltà della cura dell’anoressia consiste in questo: nell'educare il soggetto a riconoscere il pieno e il vuoto, il niente e il tutto, possibilmente senza fare troppa confusione tra i due. Si tratta di correggere due tipi di errori soggettivi: i falsi positivi, quando il soggetto dice che il vuoto è pieno, e i falsi negativi, quando il soggetto dice che il pieno è vuoto. Facile a dirsi… Se manca una buona topologia, la cura non progredisce. (Freud parlava antropomorficamente di reazione terapeutica negativa, sostenuta da un primitivo senso di colpa, ma quella freudiana è una spiegazione epistemicamente debole, perché ad hoc).

Come si inserisce il discorso sull’oggetto “niente” nel più ampio discorso sull’oggetto infinito, sviluppato in questo sito?
Le possibilità sono due: una patologica o distruttiva (A) e una fisiologica o costruttiva (B).

(A) La possibilità distruttiva è quella anoressica/bulimica del vuoto/pieno. Se il vuoto coincide con il pieno, il pieno viene distrutto e il niente diventa infinito. Ma lo diventa in modo contraddittorio. La contraddizione abita indifferentemente la teologia negativa e l’anoressia, che allora viene chiamata santa. Caratteristica comune al teologo e all’anoressia è l’inibizione nei confronti dell’infinito, considerato come l’incarnazione della contraddizione. Il regressus ad infinitum è sinonimo di reductio ad absurdum. In altri termini il teologo non ne vuole sapere dell’infinito come l’anoressia/bulimia non ne vuole sapere dell’oggetto (non necessariamente il cibo! Ho avuto in cura anoressiche… sovrappeso). Personalmente, nei confronti dell’anoressia resto sulle posizioni espresse nel 1994 in Anoressia, sintomo e angoscia. L’anoressia è l’inibizione intellettuale nei confronti dell’oggetto del desiderio. (orexis significa in greco "desiderio"). Quando si avvicina troppo ad esso, lo vomita. Regolarmente, prima o poi l’anoressia vomita anche l’analista. Interrompe l’analisi, confermando la diagnosi a posteriori.
Per i freudiani ortodossi devo precisare che la mia concezione dell’inibizione anoressica generalizza e in un certo senso indebolisce la concezione che Freud formula nel primo capitolo di Inibizione, sintomo e angoscia (1926). Freud enumera diverse inibizioni: sessuale, alimentare, motoria, lavorativa. In conformità alla seconda topica, spiega l’inibizione come scelta dell’Io di non prendere alcuna decisone operativa, perché entrerebbe in conflitto o con l’Es o con il Super-Io. In termini psichiatrici, l’Io del soggetto inibito sarebbe psicastenico, cioè soffrirebbe di limitazioni funzionali (Funktionseinschränkungen). Considerando le topiche freudiane un residuo del discorso medico (eziologico) in psicanalisi (medicalizzazione), in quanto tali da abbandonare definitivamente, propongo una definizione meno “medicale” di inibizione. L’inibizione è una condizione soggettiva confinante con l’assenza d’opera della follia. I soggetti inibiti di tipo anoressico e bulimico, sono i veri borderline. Non è che non ci sappiano fare con l’oggetto infinito. In questo senso non sono dei folli. Non si rifiutano di mangiare, perché temono di essere avvelenati, come i paranoici deliranti o i negativisti schizofrenici, ma perché non sanno decidere se hanno mangiato (abbastanza) oppure no. Gli anoressici/ bulimici usano l’oggetto del desiderio in modo improprio. Non sanno usare la propria ignoranza dell'oggetto in modo produttivo. Tutti noi non sappiamo usare in modo esatto l'oggetto infinito, perché ci sfugge in continuazione. Ma gli anoressici/bulimici lo usano in un modo particolarmente improprio. In particolare, l’equazione pieno = vuoto, produce in loro un modello inadeguato (patologico) di infinito. La forma comunemente assunta da tale modello è la gravidanza isterica (anche nei maschi!), magari sostenuta da una forma perentoria di padre ideale e senza escludere la possibilità non solo fantasmatica di padre stupratore.
In un certo senso, l’anoressia/bulimia è prescientifica. Con lei fa ritorno l’infinito potenziale di Aristotele che, essendo finito, non esiste come infinito. L’anoressia non ne vuole sapere dell’oggetto infinito attuale né dei suoi rappresentanti: la matematica, la psicanalisi, ecc. Ma l’anoressia è onesta con la modernità. Da una parte non cade nell’assenza d’opera folle (l’anoressia è notoriamente iperattiva), dall’altra non adotta la soluzione perversa dell’adeguamento all’oggetto finito, il feticcio. Ciò lascia intravedere alcune (non molte) possibilità di cura. Una volta messe da parte le banalizzazioni correnti (psicologistica: l’anoressia imita i modelli culturali delle top model; psicodinamica: l’anoressia è in una relazione di reciproco divoramento con la madre; ecc.), la cura dell’anoressia richiede la reimmersione del soggetto sofferente nel discorso scientifico, in particolare topologico, affinché arrivi a distinguere tra pieno e vuoto, tra tutto e nulla. Solo dopo una preliminare alfabetizzazione scientifica si profilano alcune delle possibilità terapeutiche, che la psicanalisi può offrire all’anoressia/bulimia.

(B) Le possibilità costruttive del vuoto cominciano dalla costruzione dell’infinito più “piccolo”, quello numerabile, attraverso la definizione ricorsiva della successione dei vuoti. Per esempio,
0 per lo zero
{0, {0}} per l’uno
{0, {0}, {{0, {0}}} per il due
ecc.
Si tratta della coazione a ripetere? Si ripete sempre lo stesso vuoto? Sì e no. In un certo senso la coazione a ripetere è inevitabile per il soggetto finito che si confronta con l’oggetto infinito. L’infinito richiede che il finito si ripeta infinite volte. Ma in questo caso si tratta di una ripetizione epistemica, non solo ontologica. Ad ogni passo il soggetto sa inventare qualcosa di nuovo: la sintesi del vecchio (qui la messa tra parentesi) e il suo inserimento come nuovo elemento nella catena che lo precede. Più precisamente, ogni volta che u appartiene all’infinito, appartiene all’infinito anche l’unione di u e dell’insieme {u}. Ma u e {u} non sono identici. La ripetizione dell’identico non esiste, con buona pace di Nietzsche, almeno a livello dell’infinito. Come dice Lacan, al seguito di Kierkegaard, la ripetizione esige sempre del nuovo (J. Lacan, le Séminaire. Livre XI. Les quatre concepts fondamenteaux de la psychanalyse (1964), Seuil, Paris 1973, p. 59). L'infinito non si ripete, perché è sempre nuovo. In ciò l'infinito è affine alla verità. Il finito, invece, si ripete. Dopo aver esplorato tutti gli stati possibile, ripete la scansione partendo da uno degli stati vecchi, già noti.
Una volta costruito l’infinito numerabile, si procede alla Cantor per esponenziazione. Si crea una catena di infiniti, costruendo a ogni passo l’insieme delle parti (insieme potenza) dell’infinito precedente. Siamo ragionevolmente sicuri che procedendo per questa via non si raggiunge l’infinito terminale, l’infinito di tutti gli infiniti. Lasciamo La totalità e l’infinito ai filosofi teologizzanti, della specie dei Lévinas. Questa è la garanzia che la scienza offre all’anoressia/bulimia. Il tutto pieno non la ingloberà. Rimarrà sempre a disposizione dell’anoressia una piccola porzione di niente per far spazio all’oggetto. Per respirare.

Concludendo filosoficamente come ho cominciato, a rigore il niente non è un vero e proprio oggetto, ma è la condizione trascendentale per cominciare a pensare l’oggetto infinito. A patto di non prendere il niente come fonte di inibizione anoressica, quasi folle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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